Skip to main content

LE TIPOLOGIE PRINCIPALI DI STRETCHING E ALLUNGAMENTO MUSCOLARE 

Nella prima parte avevamo visto come la mobilità articolare e la flessibilità sono spesso confuse tra loro, ma non sono certo la faccia della stessa medaglia.

Ora addentriamoci più a fondo, vediamo di sfatare alcuni miti che riguardano lo Stretching e quello che comunemente si pensa possa essere la metodologia più efficace per fare del buon allungamento muscolare e movimento per le nostre articolazioni.

In primo luogo sfatiamo alcune informazioni che possono essere trapelate erroneamente nell’immaginario colletivo.

Essere più flessibili non è assolutamente indice di essere più atletici o performanti in tutte le attività sportive o quotidiane che svolgiamo.

È possibile che i muscoli di un’articolazione diventino troppo flessibili. Esiste un giusto compromesso tra la flessibilità e stabilità.

Quando diventi “più sciolto” o più agile in una particolare articolazione, viene dato meno supporto all’articolazione tramite i muscoli tutt’attorno.

Una flessibilità eccessiva può essere dannosa proprio quanto una flessibilità non sufficiente poiché entrambe aumentano il rischio di lesioni.

Una volta che un muscolo ha raggiunto la sua lunghezza massima assoluta, cercare di allungare il muscolo ulteriormente serve soltanto ad allungare i legamenti e sollecitare smodatamente i tendini (due cose che non vuoi allungare). I legamenti si lacerano se allungati più del 6 % della loro normale lunghezza. I tendini non sono neppure preposti all’allungamento. Anche se non si lacerano i legamenti e tendini allungati, le articolazioni si possono sciogliere e/o diminuire la stabilità dell’articolazione (quindi aumentando enormemente il suo rischio di lesione).

Matteo Streatching

Il secondo mito da sfatare è che essere eccessivamente grossi o muscolosi implica sempre una ridotta flessibilità.

Questo è vero, solo ed unicamente se trascuriamo una delle componenti fondamentali di ogni allenamento, ovvero la mobilità articolare per molto tempo. Potete notare che non ho fatto riferimento al termine “Stretching”.

La mobilità articolare abbraccia una ben più ampia sfera di esercizi, e deve essere specifica per ogni tipologia di attività. La capacità di contrarsi, propria dei muscoli, è direttamente proporzionale alla loro capacità di allungarsi, in altre parole più un muscolo è capace d’allungarsi più è capace di contrarsi, più è capace di contrarsi, più è capace di sviluppare forza.

Grazie a questo riconoscimento, sono nate numerosissime tecniche che, pur proponendo lo stretching come elemento base, si differenziano sostanzialmente nell’approccio, che può essere globale o analitico.

Spesso per fare esempi concreti di cosa voglia dire essere fortissimi ed elastici allo stesso tempo, si fa riferimento ai ginnasti, lottatori o weightlifter.

Queste discipline sportive in particolare, nonostante ne esistano molte altre di altrettanto incredibili, sono una manifestazione di forza senza paragoni.

La fisicità che contraddistingue ognuno di questi non è assolutamente sinonimo di rigidità o mancanza di agilità. Molte persone per dirla alla Veneta con delle semplici “ciacole da bar” tramandano dei concetti figli di una conoscenza errata di come funziona il corpo umano.

Sollevamento pesi

Nelle foto sopra Dmitry Koklov più volte campione del mondo e medaglia d’oro olimpica nel sollevamento pesi.

Qui lo vediamo eseguire la parte dell’accosciata dello Snatch (strappo), una delle 2 specialità della disciplina. Per chi volesse provare ad eseguire il movimento anche solo con un bastone o un manico di scopa, si renderà subito conto dell’estrema difficoltà nel mantenere una posizione di questo tipo e di quanta flessibilità serva.

Tra l’altro l’esercizio di cui vi parlo, che prende il nome di Overhead Squat è usato da alcuni dei più famosi preparatori atletici e fisioterapisti del mondo come valutazione posturale dinamica/transitoria che combina la flessione della spalla nel suo range finale con uno squat (trasferimento sit-to-stand quindi i vari punti della catena cinetica).

 

Squat

Il terzo mito riguarda le varie tipologie di stretching.

Non esiste solo lo stretching statico classico. Ci sono forme di allungamento più utili di altre e decisamente più indicate se un’attività richiede range articolari notevoli,o al contrario richiede che il corpo abbia una flessibilità non esasperata.

  • Le più note tipologie di stretching

Le tipologie di stretching che prenderemo in considerazione sono le seguenti: stretching statico, stretching balistico, stretching dinamico, stretching passivo, stretching attivo, stretching globale attivo, stretching propriocettivo, C.R.A.C., C.R.S.

Stretching statico – Codificato da Bob Anderson, lo stretching statico è la tipologia di stretching più semplice e probabilmente quella che gode di maggiore notorietà. Consiste nell’allungare un muscolo (oppure un gruppo muscolare) per poi mantenere lo stiramento massimo; come dice la terminologia non c’è alcun movimento e si deve arrivare alla posizione il più lentamente possibile. I vantaggi dello stretching statico sono ovvi: è facile, non è faticoso, apporta benefici a livello di elasticità. Gli unici svantaggi sono che non è specifico, che non migliora la coordinazione e che non attiva le terminazioni primarie dei fusi che sono sensibili alla velocità del movimento.

Alcuni usano la locuzione stretching statico come sinonimo di stretching passivo, utilizzo che non è condiviso da tutti gli autori che con stretching passivo fanno riferimento a una tipologia di stretching con differenti caratteristiche.

Stretching balistico – Com’è facilmente intuibile dalla terminologia, questo tipo di stretching implica dei movimenti rapidi e ritmici, salti e rimbalzi poiché utilizza la velocità come forza motrice per lo stiramento. È un tipo di stretching teoricamente molto interessante, ma ormai in disuso (anche se in alcune palestre viene ancora proposto) perché è considerato più dannoso che utile (alto è il rischio di incorrere in strappi o stiramenti muscolari), non consente ai muscoli di adeguarsi e rilassarsi alla e nella posizione allungata. Viene ancora utilizzato, ma molto raramente, da atleti particolarmente preparati.

Stretching dinamico – È una variazione del precedente, a metà strada fra il balistico e lo statico: il movimento è comunque controllato, senza salti, slanci o scatti. Di fatto, consiste in oscillamenti controllati di braccia e gambe effettuati in modo da portare dolcemente il soggetto al limite della propria gamma di movimento (al contrario dello stretching balistico che tende a forzare una parte del corpo oltre la sua gamma di movimento).

Il tipico esempio di stretching dinamico è rappresentato da oscillamenti piuttosto lenti e controllati di braccia e gambe o anche da torsioni del tronco. Secondo il noto autore Thomas Kurz gli esercizi di stretching dinamico dovrebbero essere effettuati eseguendo una serie di 8-12 ripetizioni.

Viene spesso consigliato in quei programmi sportivi che prevedono movimenti a velocità elevata perché agisce sull’elasticità di tendini e muscoli. Il muscolo agonista, contraendosi piuttosto rapidamente, tende ad allungare il muscolo antagonista.

Il limite maggiore è proprio nella difficoltà di controllo del movimento dal quale dipendono strettamente i benefici dello stretching.

Stretching passivo – Noto anche come stretching rilassato o come stretching statico passivo, è una tecnica che si utilizza quando il muscolo agonista è troppo debole o è poco elastico; in genere è tipico di una riabilitazione dopo un intervento e si attua con l’aiuto di un fisioterapista (o di qualche attrezzo) che tende la struttura oltre l’ampiezza del movimento attivo per rieducarla.

Inutile sottolineare che in uno sportivo sano questa tipologia di stretching è poco indicata perché il rischio di infortunio è elevato, anche se alcuni atleti la utilizzano come tecnica di “raffreddamento” dopo un allenamento particolarmente intenso.

Stretching attivo – È lo stretching che sollecita i muscoli senza l’uso di una forza esterna. Consideriamo un soggetto in piedi. Un operatore può sollevargli la gamba verso l’alto di un angolo di, supponiamo, 150° (capacità passiva); il soggetto, senza l’aiuto dell’operatore, può sollevarla fino a 90° dal suolo (capacità attiva). Se mantiene la tensione esegue uno stretching attivo (libero). Lo stretching attivo è poi resistente se vengono usate resistenze, nel nostro esempio un peso alla caviglia.

Stretching globale attivo – Noto anche come stretching globale decompensato, è una forma di stretching basata sul principio che soltanto gli stiramenti globali hanno reale efficacia. Tali stiramenti devono essere effettuati tramite posizioni in grado di allungare tutta una catena muscolare portando a una rieducazione della postura. Lo stretching globale attivo si rifà ai principi della cosiddetta Rieducazione Posturale Globale, un metodo riabilitativo ideato da Philippe E. Souchard.

Lo stretching globale attivo utilizza nove posture; ognuna di esse agisce su una determinata serie di catene muscolari. Viene consigliato sia come alternativa allo stretching tradizionale sia come metodo di prevenzione contro le patologie da sovraccarico muscolo-tendinee.

Stretching propriocettivo – Denominato PNF (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation), si basa sui complessi meccanismi delle unità coinvolte nello stiramento (muscoli, tendini, recettori, coppia agonista/antagonista ecc.). Questo metodo nacque negli Stati Uniti, ideato a Washington da Karbat, Knot e Voss. Era un metodo riabilitativo per curare i postumi della poliomielite. Una variante è nota in osteopatia con il nome di tecnica d’energia muscolare. Esistono molte scuole e ciò rende difficile una valutazione globale del metodo, anche se le difficoltà concrete superano di gran lunga i benefici. Grazie a un operatore si esegue una serie di movimenti che aumentano l’elasticità del soggetto, stimolando in sequenza opportuna e nel modo corretto tutti i concetti coinvolti nella gestione dell’elasticità (dalle unità ai riflessi). Si comprende che l’esecuzione è fondamentale e che l’operatore deve avere una grande professionalità. Un’esecuzione non corretta non solo è inefficace, ma potrebbe tradursi in un inutile stress. È noto anche come stretching isometrico eccentrico.

C.R.A.C. – C.R.A.C. sta per Contract Relax Antagonist Contract, ovvero “contrazione, rilassamento e contrazione dei muscoli antagonisti.

Si tratta di una forma di stretching molto simile a quella precedente, dalla quale si differenzia nella fase finale dell’allungamento. Prevede la contrazione dei muscoli antagonisti a quelli che si stanno allungando. Per eseguirlo è necessaria la presenza di un’altra persona che aiuti il soggetto nella contrazione isometrica iniziale dei muscoli oggetto di allungamento e che collabori, nella fase finale dell’allungamento, alla contrazione dei muscoli antagonisti.

C.R.S. – C.R.S. sta per Contract Relax Stretching ovvero “contrazione, rilassamento e stretching”. È una modalità di stretching che consiste nella contrazione isometrica di un muscolo per 10-15 secondi circa, seguita da un rilassamento di 5-6 secondi dopodiché si esegue l’allungamento.

CONCLUSIONI

Spero che l’articolo sia stato sufficientemente esauriente. Esistono tantissimi libri che parlano di mobilità articolare, patologie annesse e implicazioni nelle attività lavorative e non. Scoprite pian piano questo mondo e se avete delle curiosità, scrivetemi direttamente nel sito.

Spero che l’articolo via sia piaciuto e che vi sia utile nei vostri allenamenti, se avete dubbi o domande lasciate pure un commento o contattatemi attraverso la sezione Contattami.

Alla prossima 🙂